Occhi

Le immagini che quest’anno accompagnano La Stagione dei Teatri e delle altre “ante”, Al Socjale (in collaborazione con Teatro Socjale di Piangipane) e Fèsta (a cura di E Production e Ravenna Teatro) e che caratterizzeranno altri momenti della stagione, sono fotografie di Enrico Fedrigoli. 

Il teatro è un luogo dal quale attinge la visionarietà che caratterizza ogni suo progetto fotografico. Fedrigoli porta frequentemente il banco ottico davanti al palcoscenico, costruendo una nuova architettura delle scenografie, del gesto attoriale e del volto, “radiografando” corpi, luci, materie. Tante sono le compagnie che si sono mostrate attraverso il suo sguardo. E lungo è il rapporto di Fedrigoli con la Romagna (vedi i lavori con Teatro delle Albe, Fanny&Alexander, Motus, Menoventi…)

Abbiamo scelto queste sue fotografie enigmatiche, costruite proprio nell’arco di questo anno e mezzo pandemico, perché ci sembra di vedere immagini che già si fanno Teatro. Sono occhi che cercano bellezza, come quelli poggiati sui fiori, ma che mostrano sfaccettature di stati d’animo e ci sorprendono, come l’immagine del pezzo di stalattite appuntito ma sospeso tra le nuvole. Negli ultimi tempi gli occhi sono diventati un centro di attenzione per tutti noi nell’incontro con il prossimo, con i volti costretti dalle mascherine. Gli occhi di Enrico Fedrigoli ci invitano a non perdere lo spirito di osservazione, mantenendo costante una tensione verso la curiosità e il bello. Prendendo in prestito le parole da Carmelo Bene: “Amami! È tanto, sai, è tanto se abbiamo salvato gli occhi!”

INTERVISTA A ENRICO FEDRIGOLI a cura di Alessandro Fogli

Fedrigoli, qual è la genesi delle immagini, realizzate durante il lockdown che connoteranno la stagione teatrale ravennate? Da dove arrivano questi occhi enigmatici?

«Occorre una premessa, ossia la mia grande passione per la fotografia dadaista e per l’avanguardia fotografica tedesca – dal 1919 al 1939 – da cui parte un po’ tutto il mio lavoro, il mio viaggio di vita in pratica. L’origine dell’occhio, molto prima del lockdown, questa attrazione, nasce da una mia questione fisica, perché in tenerissima età ho dovuto portare gli occhiali in quanto affetto da strabismo; degli occhiali correttivi che per un sacco di anni mi hanno costretto a guardare con un occhio solo. Con queste nuove immagini ho trasposto questa cosa di un occhio solo fuori dalla mia testa, e così, avvalendomi di tecniche tipo collage, ritaglio, o le immagini di Raoul Hausmann e della fotografia dadaista, ho voluto portar fuori questo occhio solo, quello col quale vedevo, e ciò mi ha appassionato, perché in un periodo come quello del lockdown occorreva che guardassi all’esterno, il “fuori”, un po’ come spiando da un buco. Dovevo portare lo sguardo fuori dalla camera oscura e dallo studio, in quanto, come tutti, costretto a stare in casa, ho approfittato di questo periodo per portare il mio sguardo all’esterno. Ho poi aggiunto elementi che in quel momento mi interessavano, tipo la conchiglia come lacrima, il fiore come sguardo sulla natura e così via. Esemplificativo di tutto il lavoro è ciò che ho fatto con l’attrice Consuelo Battiston: le ho appoggiato un occhio finto al suo vero, e questa è l’essenza del lavoro, rendere una percezione molto vecchia, di quando avevo tre anni e non esistevano operazioni chirurgiche, quindi occorreva per forza guardare con occhio solo per lunghi periodi. Questo occhio solo mi è rimasto in mente, consciamente o inconsciamente». 

Questo occhio scrutatore, riferito al teatro, che messaggio pensa che potrà trasmettere?

«Potrebbe essere il messaggio di un “terzo occhio”, cioè di qualcuno che viene da fuori, visto che io sono della provincia di Verona, quindi un altro sguardo, un’altra vita, un altro pensiero, e quindi un occhio esterno, fuori dal mio contesto geografico. La percezione, credo, sarà quasi di rilassatezza di sguardo, con quest’occhio che viene collocato in mezzo a oggetti, a situazioni particolari, in volo, in mezzo alle nuvole. È il terzo occhio che ci guarda, ma un occhio umano, non divino».

La tecnica che ha utilizzato è sempre quella del banco ottico?

«Sì, lavoro sempre con quella, per tanti motivi. Per la qualità, in primis, poi per questa scatola che lavora per te: tu non vedi finché fotografi ma è proprio un filo diretto che passa dal cervello alla mano, allo scatto flessibile, e lo scatto flessibile si congiunge all’otturatore dell’obbiettivo, quindi è un po’ come ammaestrare un animale, impossessarsi di una cosa esterna al tuo sguardo ma che costruisci proprio con lo sguardo».

Ha sempre avuto un rapporto privilegiato con gli attori di teatro, che ha fotografato tantissime volte, cos’ha in più un attore quando lo fotografa?

«Più che altro che cos’ha in più il rapporto che si instaura tra chi lavora nel teatro e chi ci sta davanti. Le cose che ci legano sono una forte stima e la conoscenza, una conoscenza che è per forza di lunga data, visto che io non potrei mai lavorare con una persona che non conosco, non ce la farei né fisicamente né psicologicamente. È una sorta di legame quasi matrimoniale, e infatti lavoro con pochissime compagnie, compagnie che mi hanno dato la possibilità di estrapolare dei percorsi personali. Ho attinto molto da questo fertilissimo humus che è il teatro ravennate, soprattutto con Fanny & Alexander e Teatro delle Albe, che sono le due realtà che seguo principalmente e con cui ho il rapporto più intenso. Un legame quindi di forte sentimento, se non ci fosse questo non ci sarebbe nemmeno la volontà degli attori di stare tre o quattro ore in una seduta, di star fermi in posa per trenta secondi, di intuire quello che il tuo cervello intende come tempo meccanico per far sì che avvengano le immagini, per far sì che si veda quello che l’occhio non percepisce. In pratica io e gli attori costruiamo insieme le immagini, non c’è nessuno che costruisce da solo, il 50 percento lo faccio io, l’altro 50 lo fa chi mi sta davanti, e questo è lo spirito col quale lavoro da sempre, non sono io che realizzo l’immagine ma siamo insieme per fare questa cosa che ci fa vincere o perdere. Tanto che a volte ho un po’ di ansie nel realizzare certi ritratti, perché non so mai cosa l’attore percepisca una mia immagine: magari va a scavare troppo sotto pelle? Va a scavare troppo nella psiche?».

BIO

Enrico Fedrigoli è un fotografo professionista dal 1981. Lavora con un banco ottico Linhof 10×12 e cura personalmente la stampa in bianco e nero delle opere, su carta baritata di alta qualità.
“10×12 significa lentezza, riflessione e grande risoluzione dell’immagine, significa architettura di scena, architettura del corpo, pensiero sull’invisibile e sulla dinamica. 10×12 significa pesantezza, fatica e l’uso di un dispositivo che funziona scollegato dalla visione ottica diretta ma coinvolge la costruzione mentale e la progettazione.”

www.enricofedrigoli.it

RAVENNA TEATRO SEGNALA

MEME Festival
Faenza
23 ottobre – 13 novembre
Enrico Fedrigoli

ALBEDO
A cura di Simone Azzoni
Museo Carlo Zauli – Via della Croce 6
Inaugurazione e incontro ore 18:30; con Enrico Fedrigoli e Simone Azzoni, introduce Matteo Zauli
Apertura mostra: martedì e giovedì ore 14-17; mercoledì, venerdì e sabato ore 10-13
Ingresso gratuito

L’albedo è una tappa del processo alchemico. Segue la nigredo. Anticipa la rubedo. Il coagula informe si raffina, il caos si fa cosmo e l’ordine separa i pieni dai vuoti distillando forme. Albedo è stazione di transito. In un passaggio trasformativo del processo ascensionale abbiamo pensato l’incontro tra lo sviluppo creativo della ceramica e quello della fotografia. Cambi di stato in un processo di combustione e svelamento. Sacchi di argilla, forni, calchi e infine la purezza dell’equilibrio tra pieno e vuoto: questo è il cammino alchemico del Museo Carlo Zauli, nel quale agisce la fotografia di Enrico Fedrigoli. Fotografia e ceramica risalgono assieme il loro cammino: dalla materia reale a quella formale. Nel mezzo la teca sospesa è l’albedo di un canone di ritrovata bellezza.

Gli spettatori dovranno essere muniti di green pass secondo le normative vigenti

Informazioni:

349 7629249/ 349 5824266

organizzazione@e-production.org

www.menoventi.com

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