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Intervista all’architetto: il rinnovamento del Rasi

A quattro giorni dall’apertura del Rasi, le parole dell’architetto Carlo Carbone, che ha firmato il progetto della ristrutturazione, ci raccontano il nuovo volto del teatro.

Il progetto del nuovo Teatro Rasi è frutto delle idee e dell’esperienza di Carlo Carbone, architetto fiorentino che, solo negli ultimi vent’anni, ha lavorato a innumerevoli progetti di acustica per lo spettacolo, tra i quali vanno menzionati almeno il Palazzetto dello sport quartiere Zen di Palermo nel 2001, il Festival MU-VI di Modena nel 2005, il Palazzetto dello sport Auditorium Mandela Forum di Firenze, sempre nel 2005, lo Studio X-Factor 2013, lo Studio per le riprese cine-video della società Videa Saxa Rubra a Roma, il Progetto dell’involucro interno e l’acustica della sala spettacolo del Teatro Koreja di Lecce, realizzato nel 2021. Carbone ha inoltre curato l’acustica dell’edizione 2015 degli MTV European Music Awards a Milano e di tutte le manifestazioni musicali tenute allo stadio Meazza di Milano. Tra il 1996 e il 2001 è stato consulente di AGIS (Associazione Italiana per lo spettacolo), mentre dal 1996 è consulente di ASSOMUSICA (Associazione italiana degli organizzatori e promoter per la musica dal vivo e lo spettacolo). È con lui che ripercorriamo i lavori del cantiere che ha completamente cambiato il volto del teatro ravennate.

Architetto Carbone, qual era la situazione del Rasi quando ha iniziato a lavorarci?

«Il Rasi , fino ad ora, è stato un teatro ristrutturato negli anni ’70 con l’idea di uno spazio polivalente molto orientato al cinema (N.d.R. Carbone si riferisce al restauro strutturale degli anni ’60 e ’70, mentre gli interventi successivi, come quelli del 2000 e del 2007, non hanno mai interessato la struttura della sala), tanto è vero che nel progetto precedente molte soluzioni erano legate all’attività e all’attrezzatura da cinema, come ad esempio testimonia la presenza di una sorta di canala sul soffitto, ideata esclusivamente per la cabina di proiezione – per altro messa a un’angolatura completamente sbagliata, che rendeva difficile la proiezione da quella posizione – e anche l’inclinazione della galleria, che era stata pensata per uno schermo posizionato molto lontano, vicino all’abside della ex chiesa su cui è nata la struttura. Di conseguenza anche l’acustica di questo spazio era un’acustica “sorda”, legata cioè a ricercare lo standard di riflessione – o di mancanza di riflessione (ovvero di contenuto/tempo di reverbero) – connessa anche questa all’attività di tipo cinematografico. Quindi la nostra è stata anche la riprogettazione di uno standard che aveva delle domande di funzionalità molto precise, legate all’allestibilità teatrale».

La sua idea di spazio teatrale va però un po’ oltre quello a cui si è abituati.

«L’accezione che io attribuisco a questa allestibilità è che deve essere quasi totale, ossia che occorre avere tanta possibilità di appendere carichi dall’alto e tanta possibilità di allestire dal basso, con un pavimento che diventa nient’altro che una tavola di palcoscenico. Il palco, nella mia idea di teatro, non è solo il palco, ma è parte di un intero ambiente teatrale. Con questa ipotesi di lavoro, condivisa sia con l’esperienza maturata da Ravenna Teatro che con i desideri più naturali che nascono dalle attuali sperimentazioni nell’allestimento degli spazi, ho redatto un progetto che nel risolvere questi aspetti riconfigurasse il teatro anche recuperando un po’ la sua autenticità».

Un’autenticità che risale alla chiesa del 1250 di Santa Chiara sulla quale il Rasi si è configurato.

«Infatti. A mio avviso nell’allestimento precedente non si aveva la sensazione di stare in una chiesa medievale, ma in un contenitore qualunque, che poteva essere sì essere una chiesa, ma anche un magazzino o una ex fabbrica. Siamo partiti quindi da un lavoro di alleggerimento della struttura – stiamo parlando di 30 metri cubi di materiale demolito e rimosso –, abbiamo spogliato di tutto il precedente allestimento per riportarlo alla fisica della sua struttura originaria. Nel far questo abbiamo verificato tutta una serie di condizioni che, vuoi per storia vuoi per interventi pregressi, erano lasciate per scontate, a partire dalla statica della copertura superiore, che è stata completamente sostituita. Quella nuova è in grado di sostenere carichi accidentali, partecipa al consolidamento strutturale per l’antisismica e consente anche gli appendimenti dall’alto, assolutamente vietati nella precedente struttura. Questo lavoro è stato svolto dall’ingegner Franco Faggiotto, che ha interpretato l’intervento con grande sensibilità. Vorrei sottolineare inoltre la positiva esperienza con l’amministrazione pubblica, i cui uffici, e tra questi mi piace ricordare la figura dell’ingegnere Luca Leonelli, si sono prodigati per trovare le migliori soluzioni e dare la maggiore assistenza affinché la complessità del progetto potesse avere vita. È un’esperienza rara».

Gli interventi superiori però non finiscono qui?

«No, qui entrano in gioco le nuove capriate in ferro, sistemi strutturali tra i più sedimentati nella memoria umana, visto che è da 3000 anni che si fanno, e che in un certo senso alludono all’antica copertura. Così facendo, ora la qualità del sistema consente enormi carichi accidentali per lo spettacolo e l’allestibilità è stata sottolineata da una passerella che congiunge la graticcia – l’area tecnica sopra il palcoscenico – alla ex cabina di proiezione (che naturalmente aveva perso da tempo la sua funzione), diventata un elemento duplice che permette di avere un “cielo” a cui si può arrivare con qualsiasi sistema di appendimento. Questo ampio sistema (può arrivare ovunque) è coniugato a una sala che può scomparire improvvisamente».

Scompare grazie alla tribuna telescopica?

«Esatto. La tribuna telescopica, a differenza dei sistemi in cui occorre smontare le poltrone della platea, è una trovata che rende estremamente facile recuperare il piano libero della platea. Aggiungiamo inoltre la realizzazione integrale della pendenza della galleria, in modo che la visibilità sia molto più ampia. L’aumento della pendenza della galleria, la distribuzione diversa, inclinata, della sala, il prolungamento della scena con un proscenio, hanno praticamente portato da uno spazio in piano a uno che si restringe a V. Questo, in teatro, dà una sensazione di grande vicinanza alla scena, che è esattamente ciò che mi premeva sottolineare nell’allestibilità di uno spazio teatrale. Inoltre, l’abside dietro al palcoscenico, che prima era su un pavimento piano, come se fosse avulso dal resto, ora è il prolungamento inclinato del palco, e improvvisamente è “tornato” dentro lo spazio».

A questo punto entra in scena la sua grande esperienza in materia di acustica.

«La mia storia racconta di un costante connubio tra gli aspetti di acustica, illuminotecnica e architettura; io vengo dall’illuminotecnica, ho un presente particolarmente importante sull’acustica e una costante nell’architettura. Quindi anche in questo caso l’acustica è stata uno degli elementi che poi ha mi suggerito soluzioni formali, ma che nasce dal fatto che oltre alla visibilità è per me fondamentale la sensazione di sentire la voce umana non microfonata o distorta da un’equalizzazione casuale o da uno spazio pieno di interferenze. Volevo quindi ricostruire un’acustica in cui la voce o il suono di uno strumento musicale arrivassero ovunque perfettamente in fase, con una distribuzione serena e una giusta densità. Questa è una ricerca – non scientifica o filologica – che porto avanti da ormai quasi vent’anni, facendo esperimenti su esperimenti, perché la modellistica fisica spesso cozza con una buona cultura dei materiali. Per il Rasi ho considerato alcuni aspetti di correzione acustica, coniugandoli con la possibilità di amplificare il suono in maniera meccanica naturale, accordando una leggera equalizzazione delle famiglie di frequenze che più vogliamo esaltare, tramite un sistema che è diffrattore ma che si può anche forzare in una qualsivoglia direzione, in modo che il suono del palco raggiunga in maniera più o meno costante tutta l’area adibita al pubblico».

Quindi tutta la serie di pannelli acustici che vediamo ora in alto lungo le pareti ricopre un ruolo cruciale?

«Ciò che fa un architetto è dare dei tocchi a un ambiente perché arrivi a comunicare una visione di quella che è l’idea nascosta da cui si parte. Quei pannelli acustici si accordano tramite tiranti che regolano la tensione delle placche di legno incollate dietro le lamiere; è un’idea che sto portando avanti da una dozzina d’anni e che ho sperimentato per la prima volta al Mandela Forum di Firenze nel 2008, in occasione di un concerto di Orchestra e Coro del Maggio Fiorentino diretti da Zubin Mehta. Era la prima volta che un’orchestra suonava in un palazzetto senza amplificazione e andò molto bene. E la particolarità è che questi pannelli si settano tramite un gioco di fasci di luce rifratta da piccoli specchi. Si può dire che dalla luce nasce il suono!».

Prima aveva accennato anche all’illuminotecnica…

«Certo. Tutto è coniugato a un’idea coerente di spazio. Se l’idea originale è che ora la scena è dappertutto in teatro, e che anche il pubblico appartiene alla scena, di conseguenza anche l’illuminazione partecipa da protagonista a quest’idea. L’illuminazione ora concentra nello spazio centrale la sua forza e lo fa percepire come un reverbero della luce, quindi, differentemente dall’abitudine che abbiamo, qui la luce è come se apparisse improvvisamente da una fonte nascosta, lontana, una fonte che crea questo vano illuminato, in cui si trova il pubblico, con un aspetto quasi altrettanto drammatico che quello della scena. Questa scelta è uno degli elementi estetici che sottende a tutta la riconfigurazione dello spazio del nuovo Rasi, che è giocoforza nero, non solo per un motivo di estrema funzionalità illuminotecnica per la scena. Il marrone del legno di abete del pavimento, poi, ha volutamente un aspetto un po’ invecchiato, un po’ vissuto, non deve essere bello, deve sembrare quello di una casa vecchia, totalmente usato e consumato dal tempo. Anch’esso è scuro e opaco come le pareti, per non rifrangere la luce».

Usciamo ora dalla sala. Cos’è successo fuori dallo spazio scenico?

«L’ingresso è stato completamente liberato. Sopra di esso c’erano tutte le strutture e le sovrastrutture che disegnavano la galleria, completamente eliminate, in modo che si ora veda un po’ il “brutto” del cemento armato, la sua naturalezza. L’ingresso in questo senso aveva delle chicche al suo interno, strutture in ferro con un piccolo solaio in cemento che serviva probabilmente per raggiungere il servizio di qualche sistema illuminotecnico ormai andato perduto. Rimettendolo a nudo, con una luce che non lo dichiara ma semplicemente lo rivela, abbiamo un soffitto che ti racconta un po’ da dove viene, e che mi piace molto. Inoltre, il sotto-galleria è diventato una saletta indipendente, che può essere o una parte più ampia dell’ingresso (che prima in pratica era un corridoio) o, chiudendo la parete, un locale separato per fare spettacoli più intimi, presentazioni e quant’altro. In tutto questo va detto che Ravenna Teatro e tutti i suoi tecnici sono stati fondamentali, dei veri compagni di viaggio con cui si è condiviso tutto. Il progetto di un architetto non potrà mai essere solo il prodotto della sua mente, il committente contribuisce almeno al 50 % di quello che si realizza, è imprescindibile. Se ci sono meriti sono da condividere».

Qualche problema inaspettato durante i lavori?

«Beh, vorrei sottolineare che abbiamo lavorato tra il 2021 e il 2022, un periodo che verrà ricordato nella storia per l’epidemia che tutti conosciamo, epidemia che ha complicato notevolmente la vita del cantiere, naturalmente per i contagi ma anche per l’aumento del costo dei materiali, che è raddoppiato nel giro di un paio di mesi. In tutto questo è entrato poi a gamba tesa l’effetto dell’indisponibilità di materiali e personale data dall’esplosione dei cantieri a seguito del bonus del 110%. Di guai ce ne sono stati, così come di sorprese durante la demolizione, che son sempre in agguato, ma erano stati messi in conto. Vorrei infine ringraziare e ricordare tutte le ditte coinvolte nell’opera, che si son comportate con grande afflato: CMCF Faenza, Faggiotto S.T.A.F.F., Tesco Impianti Srl, Steel Pool Cantieri, Innova Global Service, Bertelè Telescopic Tribune, Barciulli Arreda Srl».

 

Intervista a cura di Alessandro Fogli
Fotografie di Marco Parollo

 

 

Interventi di miglioramento, riqualificazione e innovazione funzionale del Teatro Rasi finanziato da Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna, Ravenna Teatro con risorse FSC 2014-2020
Piano Operativo della Regione Emilia-Romagna (Delibera Cipe n.76/2017)